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Intervento del consigliere Gabriella Ciarlantini al Consiglio Comunale per il riconoscimento nello Statuto dell'Acqua come Bene Comune

Siamo finalmente arrivati a discutere questa proposta di modifica dello Statuto comunale dopo molti mesi. La proposta di modifica è l'ultimo atto di un percorso che si inserisce all'interno di una forte mobilitazione sociale che si è costituita dentro la questione della ripubblicizzazione dell'acqua.

Dentro la battaglia dell'acqua, infatti, anche qui a Macerata, si è affacciata una coalizione sociale dal basso amplissima, che non possiede padrini politici, che non è supportata da potentati economici e che, nell'assordante silenzio dei mass-media è riuscita ad imporre all'agenda politica nazionale una questione sostanziale che poi è anche un paradigma di molti altri temi, come i beni comuni, la sovranità territoriale, un nuovo modello di produzione e di consumi.

Noi Consiglieri proponenti non abbiamo fatto altro che recepire questa istanza, tentando di riaprire la discussione intorno all'acqua bene comune, soprattutto in questa settimana, alla vigilia dell' importante prossima consultazione referendaria.

La modifica proposta è semplice. Parte da un assunto che credo condiviso da tutti noi: l'acqua è un bene primario, necessario ad ogni forma di vita, soddisfa un diritto fondamentale dell'uomo e di conseguenza non può essere gestito con le logiche del profitto.

La sua progressiva scarsità sta tuttavia creando in tutto il mondo una corsa delle multinazionali al controllo di ogni risorsa idrica. Si tratta di controllare una potenziale fonte di ingente profitto creata da un bisogno ineludibile, quello di bere ed irrigare.

A difesa di questo bisogno ineludibile, per fermare chi intende speculare su quanto è indispensabile alla vita, a partire dai nostri territori, chiediamo innanzitutto che nello Statuto sia inserito il principio secondo cui all'acqua sia riconosciuto lo status di bene comune.

Al di là di ogni definizione giuridica e formale, i beni comuni sono quei beni naturali e sociali che fanno riferimento alla collettività e si richiamano ad un interesse pubblico generale che si colloca oltre la tradizionale contrapposizione pubblico/privato.

In quanto tali, non possono essere sottoposti alla logica del mercato e sono meritevoli di protezione giuridica anche nell'interesse delle generazioni future. Un principio quasi ovvio mi verrebbe da dire, sul quale credo siamo naturalmente tutti d'accordo e che ha incontrato l'unanimità nel voto della mozione con contenuto analogo che consigliere Mandrelli aveva presentato il luglio scorso.


Ma questo principio rimarrebbe lettera morta se non venisse poi affiancato da una gestione pubblica, da un forte controllo pubblico del bene in oggetto: mi pare un'operazione di “ipocrisia politica” sostenere gli “affidamenti in gestione”, sostenere, come molti fanno, che l'acqua è un bene pubblico ma che può essere sottoposto a gestione privata.

E' noto che in beni a valore aggiunto estremamente basso come l'acqua la gestione è molto più importante del titolo di proprietà per definirne i caratteri pubblici o privati. Quando si scinde proprietà e gestione, il vero proprietario diventa chi ha il potere di gestire.

Il fatto che il titolare resti un soggetto pubblico è un argomento formale, ingannevole: quando la gestione dell'acqua viene affidata ai privati, è necessariamente orientata al profitto, e ciò implica una sostanziale privatizzazione del bene. Il gestore fornisce un servizio, ma solo perché vuol ricevere un profitto.

Affermare che il bene acqua debba rimanere al di fuori della logica di mercato, non equivale a dire che non debba essere gestito con criteri economici. L’economicità della gestione non coincide necessariamente con la produzione di profitto.

Chiariamoci: non sto facendo una difesa ideologica del pubblico statale rispetto al privato: la difesa del pubblico vale ancora perchè investe la capacità di pensare i beni comuni dentro una gestione diversa, partecipata e democratica.

Credo infatti che la questione dell'acqua ci abbia spinto a ragionare rispetto al significato reale di democrazia, ci ha spinto a riflettere su come le Comunità locali possano far valere realmente la loro sovranità decisionale intorno ai diritti indisponibili.

In questo senso la modifica dello Statuto comunale è ancora una operazione fondamentale nella vigenza, speriamo prossima al suo termine, di una legge dello Stato che invece si richiama a principi assolutamente contrastanti.

Scegliere se un bene deve essere trattato come pubblico o privato è una scelta di tipo squisitamente politico. Sono le autorità locali le sole legittimate a decidere sulla gestione dei beni pubblici, principio peraltro pacificamente riconosciuto anche dal diritto comunitario.

Questa è una scelta di tipo politico che spetta esclusivamente alle comunità locali perchè le decisioni sui beni comuni non sono delegabili.

Il riconoscimento di questi principi nello Statuto vale come pratica virtuosa: stabilire oggi, per questa comunità, il principio per cui l'acqua debba essere considerata un bene comune, non mercificabile, da gestire fuori dalla logica del profitto, apre alla possibilità di sottoporre agli stessi principi anche altri servizi essenziali. Apre a questa possibilità legittimando i cittadini a partecipare e decidere su tutto ciò che dà forma al “comune” di una collettività.

Ritengo infine che non esista un momento più opportuno di questo, quando i cittadini sono chiamati ad esprimersi direttamente e democraticamente sui quesiti referendari, per riportare dentro un contesto autorevole, quello del Consiglio comunale, un dibattito che non solo oggi alla vigilia del referendum, ma da anni attraversa le nostre comunità.

In più occasioni, all'interno della discussione in Consiglio, è stata fatta presente l'intenzione di far di questa sede il luogo dove possano trovare espressione le questioni che riguardano realmente la vita sociale della nostra comunità: approvare questa modifica dello statuto comunale mi pare davvero l'occasione di dimostrare quanto questo Consiglio comunale intenda farsi portavoce delle istanze dei cittadini.